Giovedì 9 febbraio la Sinagoga di Torino nel quartiere San Salvario ha ospitato il secondo appuntamento del ciclo di incontri “Insieme”, promosso dall’ANPI e dalla Comunità islamica di Torino iniziato lo scorso novembre di confronti con le altre comunità religiose, studiosi e istituzioni, sul complesso fenomeno dell’estremismo violento.
L’obiettivo è duplice. Da un lato, comprendere le cause profonde e le caratteristiche del fenomeno, dall’altro individuare misure, interventi e programmi in grado di prevenire tale tendenza,
e riaffermare e consolidare le molte e buone ragioni del pluralismo e dell’impegno per una convivenza
pacifica tra persone uguali (nei diritti e nei doveri) e, al tempo stesso, libere e perciò diverse.
Sono interventi nell’incontro introdotto dall’On. Andrea Giorgis, in presenza dell’assessore della città di Torino, Marco Giusta:
Rav Ariel Di Porto, Rabbino Capo Comunità Ebraica di Torino
Brahim Baya, Portavoce dell’Associazione Islamica Delle Alpi
Fredo Olivero, Pastorale Migranti
Luca Guglielminetti, coordinatore progetto europeo RAN – rete di sensibilizzazione al problema della radicalizzazione
Lorenzo Gianotti, ANPI Provinciale
Mohamed Abdu Rahman, Presidente Moschea Omar Katab via Saluzzo
Eugenia Ferreri, Comunità Valdese
Idris Abd al Razzaq Bergia, Resp. per il Piemonte della Co.Re.Is. Italiana
Di seguito riportiamo alcuni appunti dell’intervento di Brahim Baya dell’Ass. islamica delle Alpi di Torino:
Un saluto di pace e di misericordia a tutti voi, vorrei innanzitutto ringraziare la comunità ebraica di Torino per l’ospitalità in questo luogo di spiritualità e di condivisione, ringrazio anche l’ANPI e l’associazione islamica di San salvario e tutte le comunità religiose del quartiere per aver promosso questo percorso, che si aggiunge ai dialoghi e alle iniziative che in questa nostra città trovano luogo.
Gli atti di violenza commessi nel nome di Dio sollevano dubbi nelle nostre coscienze: come giustificare l’orrore in nome della fede? come comprenderlo? come evitarlo? ebbene il dialogo interreligioso e interculturale dovrebbe servire a trovare delle risposte anche a queste domande.
C’è da dire subito che non sono le religioni che hanno inventato la violenza essa è congenita all’essere umano, negli istinti animali di cui noi tutti siamo dotati, e che si manifesta con o senza la religione. Anzi possiamo dire che la religione è venuta proprio imbrigliare questi istinti e convogliarli verso una azione positiva, convertirli in energia costruttiva, ciò attraverso l’esercizio spirituale, la contemplazione, il servizio dell’altro, ecc..
Il Profeta Muhammad, pace su di lui e su tutti i messaggeri di Dio, insegnava che “Forte non è colui che mette a terra il suo avversario; forte è chi padroneggia la sua ira.”
Tutto l’insegnamento islamico si fonda su questa disciplina e questa purificazione del cuore dall’avidità, dalla cupidigia, dalla rabbia, ecc..
L’aspirazione massima per un musulmano, appartenente alla religione dell’Islam/salam, dovrebbe essere verso la pace/salam, che è uno dei 99 bei nome di Iddio. Nel Corano si dice: “O voi che credete entrate nella pace voi tutti” Il profeta Muhammad insegnava: “O gente: diffondete la pace, nutrite i bisognosi, fate del bene ai vostri prossimi e pregate di notte mentre la gente dorme così entrerete in paradiso in pace.”
Una grande guida spirituale musulmana, l’imam Abdessalam Yassine, diceva:
«La violenza è una caratteristica dell’ignoranza di Dio. […] Rigettiamo la violenza nella parola e nell’azione, perché siamo profondamente convinti che la violenza e la spiritualità non possano coesistere nello stesso cuore.»
La non violenza diventa dunque un atto di adorazione mediante il quale il musulmano ricerca la prossimità e l’amore di Dio, e non un mero slogan. Il Profeta diceva: “Dio è indulgente (rafiq) e ama l’indulgenza. Ripaga per l’indulgenza ciò che non ripaga per la violenza.”
Di fronte a questi insegnamenti di pace e di non violenza dell’Islam ci pare ancora più assurda la violenza barbara portata avanti da questi sedicenti musulmani.
Il direttore dell’Osservatorio delle religioni allo IEP di Aix en Provence, Raphaël Liogier, ha studiato i profili di decine di estremisti violenti francesi e conclude che “Nessuno di coloro che sono intervenuti sul suolo francese è passato per una formazione teologica o una graduale progressione della pratica religiosa […] Essi hanno in comune la delinquenza, i problemi d’infanzia e il desiderio di essere dei pezzi grossi.”
Questa tesi della strumentalizzazione dell’Islam da parte di giovani estremisti che ignorano l’islam e ricercano in esso soltanto un ideale violento è propugnata anche dall’autorevole esperto di Islam Olivier Roy, che dice che non siamo di fronte ad una “radicalizzazione dell’Islam ma all’islamizzazione del radicalismo.”
Ciò ci spiega che chi si rifugia nell’estremismo vive un profondo malessere e la spiegazione si deve cercare nel profondo della crisi delle nostre società. La religione deve fare la sua parte, in termini di prevenzione da qualsiasi estremismo e affermare con forza gli insegnamenti di misericordia e di pace dei suoi messaggi, tuttavia non può fermare la violenza da sola, perché questa violenza ha radici anche e soprattutto altrove.
Una parte della responsabilità sicuramente ricade sugli Stati, che devono tradurre i valori di giustizia sociale, di democrazia e solidarietà, in realtà quotidiana. Garantendo a tutti giustizia sociale e piena dignità umana; e perseguendo il più possibile questi stessi valori anche nella loro politica estera, la quale sembra invece sottoposta unicamente alla legge del più forte, allo sfruttamento dei più deboli, e al sostegno ai regimi dittatoriali più beceri a patto che tutelino i nostri interessi.
Per concludere vorrei dire che i drammatici episodi di violenza e di odio a cui assistiamo devono spingerci a riaffermare con maggiore forza i valori della pace, della non violenza e del rispetto reciproco, e non essere invece motivo per dare maggiore sfogo alla violenza e all’odio nei confronti del diverso, come purtroppo alcuni ci stanno propugnando.
La risposta migliore al terrorismo non consiste nel mettere in dubbio i valori di libertà, di accoglienza, di democrazia che sono alla base della nostra società, ma consiste invece in una maggiore inclusione, maggiori diritti, maggiore giustizia sociale. Ai nemici della libertà non si risponde con minori libertà bensì con maggiori diritti.
Bisogna inoltre evitare di diffondere, questo è un invito che va rivolto in particolare ai mass-media e ad alcuni partiti politici, un clima da inquisizione verso i musulmani europei che sono cittadini e attori a pieno diritto dell’Europa, e sono i primi alleati nella lotta all’estremismo violento di cui essi ne sono le prima vittime.
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