Danilo Poggio
L’imam Said Ait El Jide, mentre pronuncia il suo sermone, indossa un lungo abito azzurro, di tradizione nord-africana, ma si intravvede al di sotto una cravatta nera all’occidentale. Ad ascoltarlo quasi mille uomini, seduti o inginocchiati uno accanto all’altro in file serratissime, perché lo spazio non è sufficiente. La moschea Taiba è la più grande di Torino ed è stata allestita all’interno di una ex fabbrica del popoloso e multietnico quartiere Aurora. Ci sono altri sedici luoghi di fede islamica in città, ma questo è sicuramente il più affollato: con difficoltà si riesce a sedersi al venerdì e qualcuno già pensa di istituire turni differenziati per la preghiera. Il sermone viene letto in arabo e in italiano, per essere comprensibile a tutti, visto che sono presenti almeno venticinque diverse nazionalità: «La conoscenza e la convivenza sono alla base dei rapporti umani – dice l’imam nel sermone – e il sorriso è grazia divina, che nasce dal cuore ed espande affetto e fratellanza. Trova la ricompensa in questa e nell’altra vita, ed è un’elemosina alla portata di tutti, ricchi e poveri».
Per la preghiera della festa finale del Ramadan, nell’immensa area all’aperto di Parco Dora, c’erano oltre ventimila fedeli. Inutile chiedere se intorno a questi luoghi si percepisca un sentimento di tensione, dopo le azioni terroristiche di Parigi e Bruxelles. Le ripercussioni del terrorismo si fanno sentire anche qui. «Abbiamo ricevuto lettere minatorie e vissuto episodi che mostrano come ci sia sempre il rischio dell’intolleranza. Ci sono comunque controlli continui da parte delle Forze dell’ordine e questo garantisce sicurezza anche per noi. Gli stessi musulmani sono terrorizzati da tanta violenza. Dopo le stragi del novembre scorso abbiamo organizzato un incontro in moschea per pregare per le vittime ed è stato recitato anche il Padre nostro». A quella preghiera era presente anche la salesiana suor Paola Pignatelli. «Stiamo facendo un cammino comune da tre anni, con un dialogo sistematico. Non sempre è facile o scontato, ci sono identità ben definite e bisogna muoversi con prudenza e delicatezza, ma non ci sentiamo a disagio.Il desiderio è quello di andare oltre i singoli eventi di condivisione e provare a confrontarci ancora più in profondità, sui grandi temi della fede».Tutte le attività della moschea vengono gestite dall’associazione islamica delle Alpi, promotrice tra l’altro del Patto di condivisione firmato con il Comune per affermare i valori della convivenza, del rispetto reciproco, della conoscenza e del dialogo. «Fin dall’origine – spiega Brahim Baya, portavoce dell’associazione – abbiamo voluto costruire ponti e non muri. La fede in quanto tale è un valore aggiunto per la società. In modo particolare, poi, con i fratelli cristiani condividiamo una vicinanza iniziata da Abramo. Per questo, spesso organizziamo in moschea incontri di condivisione e dialogo, con la partecipazione di esponenti della società civile ma anche delle altre religioni».
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